Informazioni generali
Indirizzo:
Piazza del Santo, 11 35123 Padova
Tel. : (+39) 049 8751244
Fax : (+39) 049 8789735
E-mail:
infobasilica@santantonio.org
Sito:
http://www.basilicadelsanto.org
STORIA E ARTE
L'attuale Basilica è in gran parte l'esito a cui si è giunti
attraverso tre ricostruzioni, che si sono succedute nell'arco di una settantina
d'anni: 1238-1310.
Ai tempi di sant'Antonio qui sorgeva la chiesetta di Santa
Maria Mater Domini, poi inglobata nella Basilica quale Cappella della Madonna
Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era sorto il convento dei frati fondato
probabilmente dallo stesso sant'Antonio.
Deceduto nel 1231 all'Arcella, a nord della città, dove
sorgeva un monastero di clarisse, il suo corpo - secondo il suo stesso
desiderio - venne trasportato e sepolto nella chiesetta di Santa Maria Mater
Domini.
Il primo nucleo della Basilica, una chiesa francescana a una
sola navata con abside corta, fu iniziato nel 1238; vennero poi aggiunte le due
navate laterali e alla fine si trasformò il tutto nella stupenda costruzione
che oggi ammiriamo.
L'INTERNO
Ci si può portare agli inizi della navata centrale. Si
noterà subito come l'architettura, pur sempre gotica nell'alzata, si distingue
nettamente in due parti: quella delle navate (in cui ci si trova) e quella
dell'abside oltre il transetto. Non soltanto perché quest'ultima è tutta
affrescata, ma soprattutto per la diversa tipologia del gotico.
L'area delle navate appare di ampia spazialità, ritmata da
entrambi i lati da due calme e solenni campate. Sopra di esse, sia a sinistra
che a destra, corre un ballatoio, il quale accompagna la navata centrale, per
poi rinserrare tutto intero il transetto.
Più che i resti di decorazioni e dipinti, colpiscono i
numerosi monumenti funebri, che rivestono pilastri e altri spazi e che
risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII. Oggi noi preferiamo vedere le chiese
ripulite da queste incrostazioni del passato.
Non bisogna però sottovalutare il valore artistico di alcuni
monumenti e il fatto che essi costituiscono un interessante spaccato della vita
civile e culturale della città e della regione. La presenza di questi monumenti
funebri non interessa però la gran parte dei visitatori.
Prima di lasciare la navata centrale, si osservi sulla
controfacciata il grande affresco di Pietro Annigoni, terminato nel 1985,
raffigura Sant'Antonio che predica dal noce. Il fatto avvenne a Camposampiero
(Padova) dove il Santo, immediatamente prima della morte, trascorse un breve
periodo di riposo e di raccoglimento (dalla seconda metà di maggio al 13 giugno
1231).
Alla gente (semplice o malata, indifferente o curiosa;
simpatico il contrappunto dei tre bimbi) e ai suoi frati (ai piedi della scala
c'è il beato Luca Belludi, successore di sant'Antonio) il Santo indica il
vangelo come fonte di luce e di vita.
La Madonna dei Pilastro
Sulla prima colonna della navata sinistra si può ammirare la
Madonna del Pilastro. È stata affrescata, pochi anni dopo la metà del '300, da
Stefano da Ferrara.
Non si badi agli angeli che stanno sopra e ai due apostoli
ai lati, che sono aggiunte posteriori. Così risalgono probabilmente al '600 i
brillanti diademi sul capo della Madonna e del Bambino.
Sopra il primo altare a sinistra sta la pala di san
Massimiliano Kolbe, anch'essa dipinta da Pietro Annigoni nel 1981.
La Cappella del Santissimo
È la prima cappella della navata destra. Vi si conserva
l'Eucaristia. Nel passato era detta Cappella dei Gattamelata, perché voluta
dalla famiglia del condottiero Erasmo da Narni (soprannominato Gattamelata, +
1443) come luogo della sua tomba, che si può vedere nella parete sinistra; a
destra invece è la tomba del figlio Giannantonio (+ 1456).
La cappella, in stile gotico, fu ultimata nel 1458. È di
pianta quadrata, con quattro colonne agli angoli e la volta a spicchi con
costoloni. Tutto il resto ha subìto varie sistemazioni nel corso dei secoli.
L'ultima, comprendente anche l'abside dietro l'altare, risale agli anni
1927-1936 ed è opera di Lodovico Pogliaghi, artista assimilatore e versatile.
La Cappella di san Giacomo
Proseguendo lungo la navata destra, si raggiunge il
transetto che si conclude con la Cappella di san Giacomo, voluta da Bonifacio
Lupi, marchese di Soragna (Parma) con importanti incarichi diplomatici e
militari presso i Carraresi di Padova.
L'elegante e arioso ambiente gotico è stato realizzato negli
anni ?70 dei Trecento da uno dei maggiori architetti e scultori veneziani
d'allora, Andriolo de Santi.
La cappella si apre in basso con cinque arcate trilobate.
La Crocifissione.
Immediata è la suggestione che attrae il visitatore e lo
avvolge nella calda atmosfera dei marmi e degli affreschi, finiti di restaurare
nel 2000, che ricoprono tutta la superficie interna della cappella. Lo sguardo
va spontaneamente alla grandiosa e drammatica Crocifissione, capolavoro di
Altichiero da Zevio (Verona), il massimo pittore italiano della seconda metà
del '300, che lo realizzò sempre negli anni ?70 appena pronta la cappella.
Storia di san Giacomo. - Le otto lunette della cappella e
uno scomparto ci presentano alcuni momenti della storia di san Giacomo, desunti
dalla Legenda sanctorum o aurea di Jacopo da Varazze (1255?). Era un testo
allora molto diffuso con intenti devozionali e che dava largo spazio a
tradizioni e leggende e al quale tanti artisti hanno abbondantemente attinto.
L'apostolo è san Giacomo il Maggiore (fratello di san
Giovanni) il cui santuario di Compostella (Galizia/Spagna) era una delle grandi
mete di pellegrinaggio della cristianità, specialmente nei secoli X-XV.
L'autore degli affreschi è ancora Altichiero da Zevio, ma con la collaborazione
di Jacopo Avanzi, bolognese, la cui mano non è sempre facilmente distinguibile.
Proseguendo verso il deambulatorio, si lascia a destra
l'uscita che conduce al Chiostro della Magnolia e, più avanti, l'entrata verso
la Sacrestia; a sinistra, invece, il complesso presbiterio-coro chiuso da una
superba cortina marmorea. Si giunge così alla prima cappella del deambulatorio.
La Cappella delle benedizioni
In questa cappella i
fedeli amano far benedire anche oggetti personali, come ricordo duraturo e
visibile dell'incontro di grazia avvenuto in Basilica.
Ma ad attirare l'attenzione sono ora anche gli affreschi di
Pietro Annigoni, i quali realizzano una stretta sintesi su un tema che ci
sembra emergere con maggiore evidenza: la tragedia del peccato.
La predica ai pesci, a sinistra (1981). L'episodio, stando
alla fonte più antica, Actus beati Francisci et sociorum eius (1327-40),
avvenne a Rimini nel 1223, alla foce della Marecchia.
li Santo, vista la sua predicazione osteggiata da eretici e
catari, se ne andò a parlare con i pesci, che affluirono numerosi guizzando
fuori dalle onde. L'artista ci presenta il Santo che poggia sicuro su un grosso
masso (allusione al Cristo) nell'atto di mediatore d'una fede
"rappresentata" da quell'accorrere vivace dei pesci verso il loro
Creatore. Accanto a lui, un compagno dalla fede tentennante guarda impaurito la
turba in arrivo. Al di là del Santo, più che le parti impressiona l'insieme:
uomini e cose, tutto è sconvolto e sembra sfasciarsi. Così finisce il mondo che
rifiuta Dio.
Il Santo affronta il tiranno Ezzelino da Romano (1982).
Secondo la Chronica dei notaio padovano Rolandino (1262) il fatto narrato
dall'affresco è avvenuto poco prima che il Santo si ritirasse nell'eremo di
Camposampiero, quindi nel maggio del 1231. Pregato dagli amici di Rizzardo di
San Bonifacio (Verona) sequestrato con altri della fazione ghibellina, sant'Antonio
si recò da Ezzelino III da Romano, per otteneme il rilascio. L'esito della
missione fu negativo. L'artista fissa l'incontro dei due personaggi nella fase
finale: un diniego che non ammette ripensamenti.
L'ostinazione del tiranno è resa dal risoluto gesto delle
mani. Dietro di lui, il truce consigliere, raffigurato nella sua vera identità:
il diavolo, l'ingannatore.
Ma Ezzelino non è dei tutto tranquillo: si protende in
avanti, verso il Santo, con la bocca contratta da una smorfia, cercando di scrutare
diffidente la fonte di tanta semplicità e coraggio. Antonio ha in mano il
vangelo, ma esso è ormai chiuso per il tiranno.
Sant'Antonio, rassegnato, ha compassione del tiranno
prigioniero di se stesso. Dietro, le ombre dei prigionieri, sospinti dalle
guardie; gli uni estranei agli altri.
La Crocifissione (1983). - Le proporzioni, lo stacco e il
risalto conferito dalla finta parete con cui è raffigurato il Crocifisso
suscitano un'immediata forte reazione. Lo sguardo segue trepidante le gambe
inarcate e lacere di sangue di Cristo. Il petto è stirato in giù e l'addome
rigonfio, come avviene in questi condannati. Le braccia sono crudamente stirate
e tutto il corpo sembra crollare. Il volto è uno strazio. Intorno l'atmosfera
umida e plumbea è solcata da un lampo: unico segno, tale da non disperdere
l'attenzione, dell'eco della natura. In alto, nel mezzo, una luce scarlatta, di
amore e di sangue, rivela il senso ed esalta la sofferenza sacrificale di
Cristo, che sembra sussurrare: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?".
Uscendo dalla cappella, guardiamo in alto per risollevarci
l'animo nelle serene e alte volte della parte absidale della Basilica.
Proseguiamo lungo il deambulatorio, lasciando a destra la Cappella americana o
di santa Rosa da Lima (1586-1617) patrona dell'America, delle Filippine e delle
Indie occidentali; a cui segue la Cappella germanica o di san Bonifacio
(673-755), grande evangelizzatore della Germania; infine la Cappella di santo
Stefano, primo martire cristiano, contenente chiari e agili affreschi
dell'italiano Ludovico Seitz (1907), fecondo pittore aderente al movimento dei
"Nazareni".
Si raggiunge così, sempre alla nostra destra, il centro del
deambulatorio da dove ci si immette nella Cappella dei Tesoro.
La Cappella del Tesoro
Questa cappella,
iniziata nel 1691,opera barocca del Parodi, allievo dei Bernini, ha trovato un
distinto spazio nella Basilica, senza disturbarne la coerenza gotica.
L'architettura si trasforma davanti a noi in trionfo, che
inizia dalla balaustrata con le sue sei statue in marmo, dei Parodi.
Al di là della balaustrata, il passaggio che consente ai
visitatori di ammirare il "tesoro" della Basilica, che dà il nome
alla cappella e che è raccolto in tre nicchie distinte da paraste binate e
precedute in basso da coppie di angeli
L'insieme è coronato da cordoni di angeli festanti (in
stucco, di Pietro Roncaioli da Lugano) che conducono a Sant'Antonio in gloria
(in marmo, del Parodi). Altre decorazioni nel tamburo della cupola (del
Roncaioli) e nella calotta (inizi di questo secolo).
Memorie del Santo (antistanti la balaustrata). Prima di
salire verso le nicchie, sostiamo ad osservare alcune memorie di san t'Antonio,
che nel 1981 sono state collocate nell'area e sulle pareti antistanti la
balaustrata.
Nel gennaio del 1981 in occasione dei 750 anni dalla morte
del Santo, nell'intento di precisare lo stato dei resti mortali di
sant'Antonio, nominate allo scopo una"commissione religiosa
pontificia" e una "commissione tecnico -scientifica", venne
aperta la tomba di sant'Antonio, per la seconda volta nella storia. (Vedi la
pagina delle ricognizioni) Vi si trovò:
una grande cassa di legno di abete, rivestita di quattro
teli di lino e, sopra di essi, due drappi dorati finemente ricamati;
nell'interno della grande cassa, una seconda cassa più
piccola (sempre in legno di abete) a due scomparti disuguali e con il coperchio
percorso in lunghezza da una cordicella con tre sigilli; all'interno tre
involti di seta rosso-cremisi finemente ricamati (ricavati probabilmente da un
piviale) e con preziose bordure applicate ciascuno contrassegnato da una
scritta in pergamena cucita indicante il contenuto e cioè:
l'intero scheletro, ad eccezione dei mento, dell'avambraccio
sinistro e di qualche altra parte minore;
gli altri resti, in gran parte allo stato di polvere;
la tonaca, in tessuto di lana color cinerino.
All'esterno della grande cassa nel loculo che la conteneva
si è trovato:
una lapide con le date della morte dei Santo, della sua
canonizzazione e della traslazione dei suoi resti dalla chiesetta di Santa
Maria Mater Domini alla nuova Basilica (8 aprile 1263)
parecchi anellini (10 bianchi e 50 neri) di collana o
corona.
Per capire in parte tutto ciò, bisogna risalire al 1263.
Terminata la seconda fase di costruzione della Basilica, in occasione dei
"capitolo generale" che radunava a Padova i francescani ed essendo
ministro generale dell'Ordine san Bonaventura, si trasferì la tomba del Santo
dalla chiesetta di Santa Maria Mater Domini al centro della Basilica, sotto
l'attuale cupola conica (davanti al presbiterio).
In quell'occasione fu aperta per la prima volta la bara che
conteneva i resti dei Santo, soprattutto per estrarne alcune reliquie da
offrire alla devozione dei fedeli anche in altre chiese. Grande fu la sorpresa
nel vedere ancora incorrotta la sua lingua. Fu allora che san Bonaventura, con
il cuore colmo di ammirazione, pregò ad alta voce:
O lingua benedetta, che hai sempre benedetto il Signore e
dagli altri lo hai fatto sempre benedire: ora appare manifesto quanti meriti
hai acquistato presso Dio.
Si decise, allora, di conservare a parte la lingua dei
Santo, il mento, l'avambraccio sinistro e qualche altra reliquia minore. Tutto
il resto venne distribuito nei tre involti in seta rosso-cremisi, di cui si è
parlato, e collocato in una piccola cassa e questa, a sua volta, nella cassa
più grande.
La recente ricognizione del 1981 ha offerto l'opportunità di
eseguire adeguate indagini di carattere storico, tecnico e artistico,
antropologico e medico, su tutto il materiale che è stato rinvenuto. Lo
scheletro dei Santo è stato in seguito ricomposto su un materassino e posato in
una cassa di cristallo. In essa sono stati collocati due cofanetti in vetro con
gli altri resti. La cassa di cristallo poi è stata rinchiusa in una bara di
rovere e ricollocata nella tomba.
Sono invece stati esposti in questa Cappella dei Tesoro: la
tonaca del Santo, le due casse in legno, la cordicella e due sigilli, i tre
panni di seta rosso-cremisi ricomposti in piviale, i due grandi drappi dorati,
la lapide, le monetine e gli anellini. Tutte cose che qui si possono
devotamente osservare.
Salendo da sinistra verso si trovano le tre nicchie che
racchiudono reliquie di sant'Antonio e di altri santi, ma soprattutto un gran
numero di doni offerti per riconoscenza o devozione da illustri pellegrini dei
passato al Santo di Padova. Ciò che invece deve focalizzare l'attenzione sono
le più prestigiose reliquie di sant'Antonio, che si trovano nella nicchia
centrale. La lingua del Santo (al centro). Non si pensi di vedere una lingua di
colore rosso vivo. Ma ciò che si vede costituisce ugualmente un fatto
inspiegabile, dato che si tratta di una parte anatomica fragilissima e tra le
prime a dissolversi dopo la morte. Ora sono passati oltre 770 anni dalla
dipartita di sant'Antonio e quella lingua costituisce un miracolo perenne,
unico nella storia e carico di significato religioso, quale suggello dell'opera
di rievangelizzazione della società ad opera del Santo.
Degno di accoglienza di così incredibile reliquia è il
finissimo e delicato capolavoro di armonia e di grazia, in argento dorato,
opera di Giuliano da Firenze (1434-36). La reliquia del mento (in alto). Più
esattamente si tratta della mandibola, collocata in un reliquiario concepito
come un busto, con aureola e cristallo in luogo dei volto. È stato
commissionato nel 1349 dal cardinale Guy de Boulogne-sur-Mer, miracolato dal
Santo: Egli stesso lo portò a Padova l'anno dopo, procedendo solennemente alla
sistemazione del mento in questo reliquiario (in argento dorato). Le
cartilagini laringee (in basso). Queste, ancora conservate, che sono gli
strumenti della fonazione, cioè della parola, hanno subito attirato
l'attenzione, pur non costituendo un fatto inspiegabile come la lingua, nella
recente ricognizione dei 1981. Si è pensato quindi di collocarle in visione
insieme alla lingua del Santo. Il reliquiario è opera del trevisano Carlo
Balljana.
Uscendo dalla Cappella dei Tesoro e proseguendo a destra, si
incontrano: la Cappella polacca o di san Stanislao (+ 1079), vescovo e martire,
patrono della Polonia; di seguito la Cappella austroungarica o di san Leopoldo
(1075-1136), margravio e patrono d'Austria; segue la Cappella di san Francesco;
e infine la Cappella di san Giuseppe.
La Cappella della Madonna Mora
Un po' più avanti, sempre sulla destra, si entra nella
Cappella della Madonna Mora.
Ci troviamo nell'ambiente dell'antica chiesetta di Santa
Maria Mater Domini (fine secolo XII-inizio XIII) inglobata nell'attuale
Basilica. Qui di certo ha pregato sant'Antonio e qui desiderava essere portato
nell'approssimarsi della sua morte. In essa è poi stato sepolto fino al 1263.
La statua della Madonna Mora che domina l'altare è stata
realizzata nel 1396 da Rainaldino di Puy-l' Evéque, un artista guascone. I
padovani l'hanno chiamata "Madonna Mora" per il volto colorito, ma il
titolo esprime soprattutto il loro rapporto di confidente familiarità.
A nord si apre la Cappella del beato Luca Belludi, detta
anche dei Santi Filippo e Giacomo il Minore, apostoli. È stata aggiunta al
complesso della Basilica nel secondo Trecento, e chiamata del beato Luca,
compagno e successore di sant'Antonio, perché sotto la mensa dell'altare vi è
la sua tomba. Qui sostano spesso gli studenti padovani, che si affidano all'intercessione
del beato nel loro difficile impegno di studi.
La cappella è stata, comunque, dedicata fin dall'inizio ai
santi Filippo e Giacomo. Molto interessanti gli affreschi del fiorentino Giusto
de' Menabuoi, che risalgono sempre alla seconda metà del Trecento (1382).
Deperiti a causa soprattutto dell'umidità, sono stati di recente recuperati da
un riuscito restauro che ne ha valorizzato il notevole livello artistico.
Il sarcofago pensile è oggi vuoto. L'altare è del Duecento e
pare che dal 1263 al 1310 fosse l'altare-tomba di sant'Antonio, collocato però
davanti al presbiterio della Basilica, sotto la cupola conica.
La Cappella della tomba di sant' Antonio
La tomba del Santo è stata chiamata fin dagli inizi anche
"Arca". In questa cappella, sotto la mensa dell'altare e ad altezza
d'uomo, c'è la tomba del Santo, qui collocata dopo essere stata dal 1231 al
1263 nella chiesetta Santa Maria Mater Domini (oggi Cappella della Madonna
Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro della Basilica, di fronte al presbiterio,
sotto l'attuale cupola conica; incerta invece rimane la collocazione della
tomba dal 1310 al 1350 (che può essere stata anche l'attuale). Dal 1350 è
sempre rimasta in questa cappella.
Fino agli inizi del Cinquecento lo stile con cui era ornata
la cappella era quello gotico, con affreschi di Stefano da Ferrara, lo stesso
della Madonna del Pilastro.
L'arredo attuale, cinquecentesco, notevolmente unitario dal
punto di vista architettonico e scultoreo, sembra doversi attribuire a Tullio
Lombardo.
L'altare è piuttosto invadente, ma l'artista Tiziano Aspetti
(che lo realizzò verso la fine dei Cinquecento) era condizionato dall'altezza
difficilmente modificabile della tomba, di certo precedente. Le statue
sull'altare (sant'Antonio tra san Bonaventura e san Ludovico d'Angiò) sono
dello stesso artista, mentre altri bronzisti hanno realizzato gli Angeli
portacero, il cancelletto e i due piccoli candelabri.
Quelli più grandi e slanciati, su supporti d'angeli in
marmo, sono invece creazione secentesca di Filippo Parodi.
Altorilievi che accompagnano l'itinerario intorno alla
tomba. - Con un po' di attenzione e di buon senso si può armonizzare, per chi
lo desidera, una sosta di raccoglimento presso la tomba del Santo con uno
sguardo sommario ai nove altorilievi che la cappella ci propone.
Sant'Antonio riceve l'abito francescano. Opera di Antonio
Minello (1517).
Il marito geloso, la cui moglie, pugnalata per gelosia,
viene risanata dal Santo. Il lavoro, iniziato da Giovanni Rubino (detto il
Dentone), fu portato a termine da Silvio Cosini (1536).
Il giovane risuscitato dal Santo. Il Santo, prodigiosamente
trasferitosi in Portogallo, risuscita un giovane perché riveli l'identità dei
suo vero assassino così da scagionare il padre di Antonio, nel cui orto il
cadavere era stato occultato. Iniziato da Danese Cattaneo, fu ultimato da
Girolamo Campagna (1573).
La giovane risuscitata. Si tratta di una ragazza annegata,
risuscitata dal Santo, che nella rappresentazione non compare anche se in alto
si vede la sua Basilica. È opera di Jacopo Sansovino (1563). Realizzazione ben
calibrata e intensamente vigorosa.
Il bambino risuscitato. Si tratta del nipotino di
sant'Antonio. Opera di Antonio Minello con ritocchi del Sansovino (1536).
Il cuore dell'usuraio defunto non viene trovato dove doveva
essere, ma nel suo forziere, come il Santo aveva sostenuto. Opera di Tullio
Lombardo (1525).
Sant'Antonio riattacca il piede a un giovane, che per
disperazione se l'era troncato dopo aver dato un calcio alla madre. Evidente la
mano di Tullio Lombardo (1504).
Il bicchiere rimasto intatto, dopo essere stato scagliato a
terra per sfida da uno che non credeva nella predicazione e nei prodigi operati
da sant'Antonio. Iniziato da Giovanni Maria Mosca, fu portato a termine da
Paolo Stella (1529).
Sant'Antonio fa parlare un neonato, perché attesti la
fedeltà della madre, ingiustamente sospettata dal marito geloso. Opera di
Antonio Lombardo (1505), fratello di Tullio.
Il complesso coro-presbiterio
Per visitare questo settore della Basilica è necessario
rivolgersi a uno dei custodi.
La decorazione della parte absidale della Basilica. La
decorazione pittorica che ricopre la parte absidale della Basilica è stata
realizzata dal bolognese Achille Casanova e aiuti tra il 1903 e il 1939, secondo
un ampio progetto iconografico che non è il caso di presentare. L'intervento è
stato molto criticato, perché troppo scolastico e disturba le pure linee
architettoniche, che avrebbe dovuto invece accompagnare con semplicità e
discrezione. Ma sarebbe riduttivo vedere soltanto ciò. L'opera ha in effetti
qualcosa di grandioso ed è certo unica. Quando la Basilica è debitamente
illuminata, si resta affascinati da una viva e avvolgente emozione
In basso, il coro: con tale termine si intende sia
l'ambiente retrostante l'altare maggiore sia l'insieme degli stalli in cui
sostano i religiosi per la celebrazione della "Liturgia delle ore",
che è la preghiera ufficiale della Chiesa per il mondo, e durante la quale non
manca mai il ricordo di quanti si raccomandano alle preghiere dei frati. Fino
al 1649 il coro si trovava davanti all'attuale altare, nel presbiterio. Così
era fino al concilio di Trento nella gran parte delle chiese che avevano il
coro, come si può vedere tuttora particolarmente nelle chiese anglicane; poi
gradualmente il coro è stato trasportato dietro l'altare per consentire ai
fedeli di vedere meglio l'altare e di seguire con maggiore attenzione la
liturgia. Gli attuali stalli dei coro della Basilica risalgono al secondo
Settecento. I precedenti, capolavoro gotico dei fratelli Lorenzo e Cristoforo
Canozzi e aiuti (1462-69), furono distrutti dall'incendio del 1749.
Il candelabro pasquale: capolavoro di Andrea Briosco. A nord
dell'altare si può osservare il superbo candelabro pasquale in bronzo di Andrea
Briosco, detto il Riccio, terminato nel 1515. Non solo per dimensioni (m 3,92
più 1,44 di basamento marmoreo) ma anche per complessità e livello di fattura
esso è uno dei massimi candelabri dell'Occidente cristiano.
Il complesso donatelliano: una grandiosa sinfonia della vita
e della fede. - Concludiamo la visita della Basilica, osservando alcune delle
trenta opere che il grande Donatello ha creato a Padova, dal 1444 al 1450, e
che costituiscono uno degli eventi fondamentali del rinascimento e dell'arte
non solo italiana.
La Deposizione. - L'opera (si trova nel retro dell'altare
maggiore) è in pietra di Nanto (Colli Berici, Vicenza). Quattro discepoli, tesi
dal dolore, adagiano il nudo inerte corpo di Cristo nel sepolcro. Dietro
esplode lo strazio delle donne. Nel centro la Maddalena: più delle altre 43
donne ella esprime l'orrore di essere rimasta sola, nella memoria del suo
peccato. E, nella rivelazione cristiana, il peccato è la causa profonda della
morte.
Il miracolo della mula (a sinistra, piuttosto in alto,
sempre nel retro dell'altare). L'artista situa il noto episodio nella
grandiosità di una Basilica, davanti all'altare. Gli studiosi, e non solo loro,
continuano a stupirsi di fronte alla magia donatelliana che sa dare a spazi
ridotti ampiezza e profondità inattese, utilizzando linee, decorazioni e
materiali di vario colore. Lo sguardo scende dalle volte laterali, dilatandosi
nello scorrere delle linee trasversali, e come un'onda raccoglie le due masse
di uomini e le spinge verso l'altare. Qui, di fronte all'acceso diffondersi
della luce si avverte la serena calma della presenza di Dio: lo rivelano la
santità e la fede di Antonio da una parte e la voce silenziosa della natura
dall'altra. La scoperta della presenza di Dio si riflette nelle risonanze
individuali dei presenti: una sola umanità agitata e ansiosa di Dio, un
frantumarsi di reazioni...
Donatello, come tutti i grandi geni, trascende la cultura
dei suo tempo e ci appare quanto mai moderno. Come si può vedere, il rilievo
molto basso riduce in prospettiva il volume dei corpi, che vengono appiattiti e
dilatati acquistando così un suggestivo valore pittorico. Questa tecnica, nella
quale il Donatello è stato maestro, è chiamata con il termine toscano
(stiacciato", che vuol dire "schiacciato".
Sulla destra del controaltare, l'artista presenta
Sant'Antonio che fa parlare un neonato (perché attesti la fedeltà della madre,
ingiustamente sospettata dal marito). In basso a destra: il bue (alato e
nimbato per indicare che è il simbolo di un santo, nel caso dell'evangelista
san Luca); a sinistra: il leone (simbolo di san Marco).
L'altare maggiore. Quello che ora vediamo fu realizzato nel
1895 da Camillo Boito (fratello dei musicista Arrigo) ed è l'ultimo fra i
diversi altari innalzati in Basilica nel corso dei secoli. Queste variazioni
sono dovute al mutare della sensibilità e della prassi liturgica. In quello
attuale sono stati radunati tutti i capolavori del Donatello, che prima erano
sparsi in altri posti della Basilica. Eccoli di seguito descritti ad uno ad
uno.
I 14 piccoli angeli e il Compianto di Gesù. In basso, lungo
il lato frontale e i lati laterali dell'altare, sono stati collocati 10
originalissimi angeli musicanti (in dieci formelle) e 4 angeli cantori (in due
formelle, quelle ai lati del Cristo morto). Benché non manchi in essi qualcosa
di goffo, come del resto nell'arte dei tempo non ancora matura nella
rappresentazione del bambino, questi putti suscitano in noi un'immediata
simpatia per l'impegno tutto infantile con cui vivono la loro parte.
Al centro il Compianto di Gesù morto: una pagina di
commovente tenerezza.
La porticina dei Tabemacolo presenta Cristo morto assiso sul
sepolcro (dei 1496: non si conosce lo scultore). Ai lati: alla nostra sinistra,
Sant'Antonio riattacca il piede ad un giovane (che se l'era mozzato per
disperazione dopo aver dato un calcio alla madre); a destra, Il cuore
dell'usuraio (che non viene trovato dal chirurgo nel petto dell'usuraio, ma nel
suo forziere).
Santa Giustina e san
Daniele. - Più in su, sopra l'altare, alla nostra sinistra: Santa Giustina
(giovane martire padovana, il cui culto è attestato fin dal V secolo e alla
quale è dedicata la grandiosa Basilica nel vicino Prato della Valle); a destra,
San Daniele (giovane diacono di Padova, martire agli inizi dei IV secolo e i
cui resti riposano nel Duomo).
L'altare estende ai lati due ali più basse sulle quali, alla
nostra sinistra, si ha: sotto, l'angelo (simbolo di san Matteo) e, sopra, San
Ludovico; alla nostra destra: sotto, l'aquila (simbolo di san Giovanni
evangelista) e, sopra, San Prosdocimo.
San Ludovico d'Angiò
e San Prosdocimo. San Ludovico (127 - 497), figlio di Carlo Il d'Angiò, re di
Napoli: rifiutò la successione e, prima di accettare di essere vescovo di
Tolosa, volle passare attraverso l'esperienza francescana. Le sue scelte
suscitarono una vasta impressione. Morì a 23 anni.
San Prosdocimo
(seconda metà del III secolo) è il fondatore e il primo vescovo della città di
Padova. La sua tarda età è stata confermata dalla recente ricognizione delle
ossa, che riposano nella Basilica di Santa Giustina.
San Francesco e
sant'Antonio. - Ai lati della Madonna Donatello ci presenta san Francesco e
sant'Antonio, grandi protagonisti della vita religiosa e culturale del Duecento.
La Vergine e il
Figlio. Il tema centrale di tutta la sinfonia donatelliana. La Madonna è
giovanissima, anch'essa in varie parti incompiuta: appena uscita dall'opera del
fonditore, ha la freschezza della prima creazione. Ci impressiona tanta bellezza
unita a tanta fissità di dolorosi pensieri. Ci ricorda certa statuaria antica,
ma qui c'è anche il moto della vita e della storia.
Il Crocifisso. -
Dietro la statua della Vergine s'innalza e domina lo spazio il Crocifisso. Come
lasciano intuire le proporzioni, esso non è stato realizzato dal Donatello per
l'altare, ma per essere collocato nel mezzo della chiesa.
Lo si osservi dal basso. Il chiodo gonfia e increspa le vene
trasversali del piede destro. L'occhio scorre con dolore lungo le gambe inarcate
e spostate a destra, ma non ancora irrigidite. Impressionanti, specie se
colpiti dalla luce, il ventre e il petto, che lasciano intravedere lo
scheletro. Le braccia sono percorse dal fremito ancora vivo delle vene e dei
nervi. Il volto è quello di un eroe che fonde bellezza e coraggio.
Sacrestia
La sacrestia è preceduta da un atrio adorno di pregevoli
affreschi. Sono attribuibili a un seguace di Girolamo Tessari (detto anche Dal
Santo). Rappresentano due miracoli: sant'Antonio predica ai pesci e il
bicchiere scagliato a terra rimane intatto (entrambi dei 1528).
Nella lunetta sopra la porta murata, bell'affresco della
metà dei '200: Vergine coi Bambino tra i santi Francesco e Antonio.
Entrati nella luminosa sacrestia, si ammiri subito la volta
tutta ravvivata dagli affreschi di Pietro Liberi che cantano, con estro e
sbrigliata fantasia, la gloria di sant'Antonio (1665).
Sulla destra dopo l'entrata, la parete è occupata da un
grande armadio a muro, opera di Bartolomeo Bellano (1469-1472). Le dieci tarsie
che lo illuminano sono di Lorenzo Canozzi (1474-1477); rappresentano (da
sinistra): i santi Bernardino e Girolamo, Francesco e Antonio, Ludovico d'Angiò
e Bonaventura; nei pannelli sottostanti, nature morte con Iibri e oggetti
liturgici. Sulle altre pareti, tele a olio di Francesco Suman (1847).
Attraversata una stretta saletta, si scende nell'ariosa sala
dei capitolo (si chiamano capitoli le riunioni ufficiali dei frati).
Originariamente era decorata con un ciclo d'affreschi attribuiti a Giotto.
Purtroppo ora ne rimangono pochi resti.
COME RAGGIUNGERCI
Dalle Autostrade
(per calcolarne il costo, vedi il servizio Autostrade
s.p.a.)
Da Padova Est (direzione da Venezia): uscendo, alla rotonda
si gira subito a destra; spostarsi subito sulla corsia di sinistra, seguendo
per il centro immettendosi su via san Marco. Sempre dritti fino al grande
incrocio della Stanga, dove, al semaforo, si gira a sinistra, per via Ariosto.
Al secondo semaforo, si gira a destra in via Gattamelata. Si prosegue,
superando tre semafori. Al quarto,si gira a destra per via Cavazzana, per Prato
della Valle. Al secondo semaforo, si tiene sulla sinistra, per andare, in via
Carducci, ai parcheggi di Prato della Valle. Per ulteriori informazioni sui
parcheggi di Padova, clicca qui.
Da Padova Ovest (direzione da Milano), come pure dalla
statale della Valsugana: uscendo, si segue l'indicazione Sant'Antonio e ci si
immette su Corso Australia. Proseguire dritti per circa tre chilometri, fino
all'indicazione dell'uscita sulla destra Sant'Antonio - Prato della Valle.
Sugli svincoli seguire l'indicazione Sant'Antonio, fino a immettersi su via
Sorio, lasciando l'Aeroporto di Padova sulla destra. Proseguire diritti fino al
semaforo dell'incrocio con via Cernaia. Girare a destra e proseguire fino al
semaforo successivo, tenendo la sinistra. Proseguire per Sant'Antonio Prato
della Valle, percorrendo di seguito via Paoli e via Cavalletto. Al semaforo che
dà su Prato della Valle, proseguire per 150 metri, prima di svoltare a destra
in via Carducci, dove si trova l'entrata al parcheggio di Prato della Valle.
Per ulteriori informazioni sui parcheggi di Padova, clicca qui.
Da Padova Sud (direzione da Bologna): usciti
dall'Autostrada, percorrere il raccordo fino al primo semaforo. Girare a destra
e seguire le indicazioni Sant'Antonio. All'incrocio seguente, dopo il
cavalcavia, girare a destra, per entare in città, immettendosi su via
Adriatica.Proseguire dritti fino ai semafori del Bassanello, seguendo le
indicazioni Centro e Sant'Antonio. Proseguire dritti in via Costa e, dopo aver
superato il semaforo, girare a sinistra, seguendole indicazioni Sant'Antonio,
tenendo subito la destra fino a imboccare via Marghera. Dopo 400 metri circa,
girare a sinistra in via 58° Fanteria, seguendo le indicazioni per il
parcheggio di Prato della Valle. Per ulteriori informazioni sui parcheggi di
Padova, clicca qui.
Dalla Stazione Ferroviaria
(per gli orari dei treni vai alla biglietteria delle
Ferrovie dello Stato)
a piedi: corso del Popolo, Corso Garibaldi, piazza
Eremitani, Via Zabarella, Via del Santo;
con il Tram: fermata SANTO.
con l'autobus: Tutte le line A, M, T. Linee urbane n. 3, 8,
12, 18, minubus Diretto piazze (feriale e prefestivo); 43 solo domenica (per
gli orari degli autobus, vai al sito dell'APS: Dal Prato della Valle si trova
il Bus Navetta gratuito che porta alla
Basilica (tranne la domenica); oppure si può raggiungere la
Basilica a piedi in dieci minuti.
Dall'aeroporto di Venezia (Marco Polo)
(per gli orari dei voli vai all' orario stagionale dall'
aeroporto di Venezia)
Bus per Padova: all'uscita dell'aereoporto vi è la fermata
degli autobus della SITA. Vai alla pagina dei Servizi agli arrivi
dell'Aeroporto di Venezia: I biglietti si acquistano presso la sala arrivi al
box SITA dalle ore 8.00 alle ore 24.00 tutti i giorni. Ufficio informazioni
Tel: 041/5415180 041/5415180
Il biglietto può essere acquistato anche a bordo pagando una
sovratassa.
Il bus SITA arriva a Padova a piazzale Boschetti. Da lì si
prende il bus n° 24 e si scende a Prato della valle. Da lì si può proseguire a
piedi o si può prendere il Bus Navetta gratuito che porta alla Basilica, oppure
si può raggiungere la Basilica a piedi in dieci minuti.
A piedi: da piazzale Boschetti si prende via Gozzi, via
Porciglia, via Cassan, via Zabarella, via del Santo.